Il 27 febbraio 2012 è stata presentata alla sala stampa della Camera dei deputati la “Carta di Pisa”: codice di comportamento predisposto dall’associazione Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie e rivolto ad amministratori pubblici politicamente eletti e nominati. Strumento giuridico di soft law fondato sul principio di autoregolamentazione - per il quale coloro che stabiliscono le regole sono anche i soggetti tenuti a rispettarle - il codice etico è pensato come una strategia di prevenzione della corruzione basata su un approccio bottom-up, proveniente cioè dal basso.
Va precisato che l’intento di Avviso Pubblico è stato quello di dar vita ad un modello di codice
di comportamento che le singole amministrazioni sono libere di modificare ed
integrare al fine di renderlo il più adatto possibile alle particolari esigenze
di ognuna di esse.
Il primo Ente a sottoscrivere la Carta è stato,
simbolicamente, la Provincia di Pisa: a distanza di quasi due anni
dall’introduzione del Codice sono 24 gli Enti territoriali locali che lo hanno
adottato tra i quali figurano 22 Comuni e 2 Province. Il fatto che - in diversi
casi di adozione - il Codice non sia stato automaticamente recepito denota
l’interesse rivolto a tale strumento che è stato infatti oggetto di attenzione
in tutte le sue parti, preso quindi “sul serio” dai singoli Enti e non come una
serie di previsioni semplicemente da “copiare e incollare”. Molti si sono
preoccupati degli effetti delle disposizioni enunciate e si sono attivati per
emendarle, ostacolando - non di rado - l’adozione della Carta da parte di
Giunte e Consigli di varie amministrazioni. Il Codice prevede anche la
possibilità di sottoscrizione volontaria da parte del singolo amministratore, come
una sorta di sfida lanciata ai restanti rappresentanti politici a fare
altrettanto e ad assumere la medesima responsabilità a fronte di un
rinnovamento in senso etico dell’organo politico dell’amministrazione.
Venendo ai contenuti, la Carta è costituita da
regole di condotta che agiscono su quelle situazioni “propedeutiche” alla
corruzione, che mirano cioè a far sì che i rappresentanti politici siano al di
sopra di ogni sospetto evitando di compiere quelle azioni che potrebbero
generare anche la mera apparenza di scorrettezza (o d’illecito vero e proprio).
In questo senso, un esempio rappresentativo è costituito dalla norma della
Carta che vieta di accettare regali - per un valore superiore a 100 euro annui -
provenienti da quelle fonti interne ed esterne alla pubblica amministrazione i
cui interessi potrebbero essere influenzati dalla decisione pubblica
all’adozione della quale il rappresentante politico destinatario del dono
partecipa. Sono inoltre previsti degli obblighi di astensione per i quali, a
fronte del palesarsi di situazioni di conflitto d’interesse, l’amministratore è
tenuto ad astenersi dal procedimento decisionale che potrebbe influenzare i
suoi interessi personali, quelli del coniuge e di soggetti con i quali egli ha
un rapporto di parentela entro il quarto grado. C’è poi una sezione del Codice che
disciplina i rapporti tra l’amministratore e l’autorità giudiziaria verso la
quale egli è chiamato a prestare la massima collaborazione fornendo tutte le
informazioni richieste al fine di favorire un eventuale svolgimento d’indagini.
In questo quadro s’inserisce una delle disposizioni più significative enunciate
dalla Carta: in caso di rinvio a giudizio per reati di corruzione, concussione,
associazione di stampo mafioso, peculato, riciclaggio, traffico illecito di
rifiuti e tutte le altre fattispecie citate all’articolo 1 del codice di
autoregolamentazione approvato nel 2010 dalla Commissione parlamentare
antimafia, l’amministratore deve dimettersi o a rimettere il mandato nelle mani
dell’organo politico dell’ente che - in virtù degli impegni presi
sottoscrivendo il Codice – è tenuto a revocare l’incarico del rappresentante
politico inquisito.
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