Il 4 novembre scorso viene
presentato un rapporto dell’Unione Europea in cui si critica il modo in cui
l’Italia ha gestito i fondi europei per la ricostruzione dell’Aquila dopo il
terremoto. Nel dossier, redatto dall’europarlamentare Søren Bo Søndergaard, deputato
della Sinistra unitaria, si parla della scarsa qualità dei materiali usati per
la costruzione degli edifici, dei prezzi gonfiati dovuti ad un complesso gioco
di appalti e subappalti, del fatto che molte aziende coinvolte nella
ricostruzione fossero prive del certificato antimafia, quindi di infiltrazioni
della criminalità organizzata. Al centro di tutto la critica ai progetti CASE (Complessi
Antisismici Sostenibili Ecocompatibili) e MAP (Moduli Abitativi Provvisori).
Oltre alle autorità italiane, anche
quelle comunitarie vengono accusate di negligenza. Søndergaard cita l’ispezione
di una delegazione dell’UE in Abruzzo nel 2010 e ricorda di come questa non
abbia tenuto conto, nella relazione successivamente redatta, dei problemi
sollevati da molti deputati. La Commissione bilancio dell’Unione, inoltre, ha
valutato i costi della ricostruzione senza diffonderne i dati. Il documento è
stato presentato al Parlamento Europeo il 7 novembre e, per il momento, sembra
scongiurato il pericolo per l’Italia della restituzione all’Europa di 350
milioni di euro dei 493,7 ricevuti dopo il sisma. La Commissione Europea ha
rispedito le accuse al mittente affermando che “il denaro del Fondo UE di
solidarietà dato all’Abruzzo non è andato perso e i soldi dei contribuenti non
sono stati sprecati”. Shirin Wheeler, la portavoce responsabile per le
Politiche regionali della Commissione Europea, ha dichiarato che l’Italia non
dovrà restituire i fondi perché “i finanziamenti sono stati usati per progetti
puliti”.
Questo dossier dell’Unione,
presentato quasi cinque anni dopo il sisma del 6 aprile del 2009, rivela fatti
eclatanti solo per i professionisti della negazione dell’evidenza e fa
riflettere su quanto inascoltate siano state le voci degli addetti ai lavori
sui pericoli di infiltrazioni criminali dopo una simile situazione d’emergenza.
Il 25 gennaio del 2010, ai microfoni del tg3 regionale, Olga Capasso, il
Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, dichiara: “Non ci
sono solo i casalesi, ma anche mafia e ‘ndrangheta. Mi sembra che tra i
problemi legati alla lotta alla criminalità organizzata quello dell’Aquila sia
uno dei nodi più grossi a livello nazionale”. Nel dicembre del 2010 il Presidio
Libera Abruzzo pubblica un dossier sul malaffare intorno al terremoto dal
titolo emblematico: Crepe. 6 aprile 2009
ore 3.32. La fine dell’isola felice. Il rapporto, dettagliatissimo, si
compone di 16 pagine, ma sono sufficienti le parole scritte nella prima a dare
un sussulto di indignazione: “Il sisma del 6 aprile rappresenta un evento
traumatico che ha segnato e segnerà la storia della regione per i prossimi
decenni. E segnerà in maniera marcata la storia criminale e del malaffare. La
scossa che alle 3.32 ha devastato L’Aquila non ha prodotto solo lutti e
macerie. Ha spazzato via anche quel velo di ipocrisia che copriva chi si
ostinava a parlare ancora di Abruzzo isola felice. […] Una cosa però è chiara:
il territorio sarò investito da ulteriori assalti che non possono più essere
affrontati solo come un problema di polizia. La situazione è talmente grave che
la società civile dovrà decidersi a scendere in campo e concertare un’azione
comune”. Le presenze della criminalità organizzata in Abruzzo sono precedenti
al terremoto. Tutto ciò che è accaduto dopo la scossa del 6 aprile ha rivelato
quello che la regione rappresenta per la criminalità organizzata: una
lavanderia.
Come sempre accade in queste
situazioni, la società civile diventa l’unica forza in grado di impedire che
sulle istituzioni sventoli bandiera bianca. Tra decreti d’emergenza,
militarizzazione del territorio e sospensione dello stato di diritto, la
gestione del post terremoto si va ad aggiungere alle tante storie italiane da
cui avremmo molto da imparare, una sorta di modello matematico da tenere bene a
mente e da non applicare più. Tuttavia, si preferisce ancora agire negando il
passato piuttosto che imparare da esso per porre le basi di un futuro
diverso.
Marika Pezzolla
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